L’Harvard Medical Practice Study precedentemente citato3, comparso sul New England Journal of Medicine nel 1991, è considerato uno dei principali e più importanti studi effettuati per indagare l’entità degli eventi avversi in ambito sanitario e le loro caratteristiche.

Essendo tale analisi incentrata sul campionamento di oltre
30.121 cartelle sanitarie ospedaliere, oltre a questo articolo che riportava i
risultati principali, ne comparve un altro, sulla medesima rivista e sullo
stesso numero4 che analizzava esclusivamente la
natura degli eventi avversi.
Sul numero successivo del NEJM fu pubblicata infine una analisi incentrata
sulle denunce e richieste di risarcimento avvenute nel medesimo periodo in cui
erano avvenuti i ricoveri oggetto dell’indagine[1].
Le cartelle estrapolate si riferivano ad un campione di ricoveri avvenuti in
strutture ospedaliere non psichiatriche nello Stato di New York.
L’Harvard Medical Practice Study (HMPS) non fu il primo studio che esaminò gli eventi avversi nelle organizzazioni ospedaliere. Esso rappresenta però uno spartiacque fondamentale nel definire uno standard di riferimento per misurare gli eventi avversi. I metodi utilizzati sono derivati da un altro studio, che risale al 1977, dal titolo: ”California Medical Association. Report of the Medical Insurance Feasibility Study” riassunto in un report descrittivo sul Western Journal of Medicine nel 1978[2]. L’applicazione rigorosa e standardizzata della metodologia e l’esteso campionamento effettuato, rendono lo studio pubblicato sul NEJM uno degli articoli più citati insieme a “To err is human” nell’ambito del rischio clinico.
L’HMPS identifica gli eventi avversi sulla base di un processo di analisi a due stadi. Le cartelle sono dapprima revisionate da infermieri che selezionano i casi che, a loro parere, possono includere casi di eventi avversi.
Successivamente (secondo stadio) queste cartelle vengono esaminate in maggiore dettaglio da medici:
- Per confermare o meno la presenza di un evento avverso
- Per stabilire la differenza tra l’assistenza erogata ed una assistenza ottimale (substandard care o negligenza)
Ovviamente sia le infermiere che i medici venivano opportunamente addestrati per consentire di avere il massimo grado di concordanza possibile nei giudizi.
Pur con i limiti che tutti i metodi, compreso questo, hanno, il metodo a due stadi rappresenta ancora oggi lo strumento migliore per individuare gli eventi avversi in ambito ospedaliero.
Analizziamo sinteticamente i risultati di questo lavoro.
Il numero di eventi avversi era pari al 3,7% delle ospedalizzazioni (CI 95% 3,2-4,2%). Il 27% di questi eventi avversi (AE) era dovuto a negligenza (vedi definizione successiva). Sebbene il 70,6% di questi eventi avversi desse origine a disabilità non superiori ai 6 mesi con pieno recupero, il 13,6% degli AE determinava il decesso del paziente.
Utilizzando i dati del campione di cartelle esaminate e rapportandole al numero di pazienti dimessi
nello Stato di New York nel 1984 (pari a 2.671.863 dimissioni) si poteva
stimare che nel 1984 si verificassero, nel solo Stato di New York, circa 98.609
eventi avversi di cui 27.179 erano dovuti a negligenza.
Sebbene la percentuale di eventi avversi possa variare anche considerevolmente
a seconda dello Stato o della Regione dove essi sono stati effettuati (vd.
dopo), alcune caratteristiche ricorreranno costantemente anche in altre
indagini campionarie.
Una di queste caratteristiche è la correlazione degli eventi avversi con l’età. Infatti nell’Harvard Medical Practice Study le persone di età superiore ai 65 anni avevano un rischio più che raddoppiato di eventi avversi rispetto alla fascia di età tra i 16 e i 44 anni di età. Nella Tabella 1 che riporta quella originale, si può valutare come vi sia un gradiente nel tasso di eventi avversi man mano che si procede verso l’età più avanzata.
La freccia indica il tasso medio di eventi avversi che passa da 1,4 eventi avversi su 100 casi, in caso di neonati, fino a 5,7 eventi avversi su 100 casi se l’età è superiore ai 65 anni.
Ciò si spiega con la presenza, in età avanzata, patologie concorrenti che possono influire negativamente sull’outcome se il paziente subisce un evento avverso. La presenza di polipatologie rende spesso anche più complessa la diagnosi e rende più facile la commissione di un errore.

Un altro dato importante è dato dalle conseguenze degli eventi avversi. Nella Tabella 2 i numeri assoluti (in USA si usa la virgola come separatore per le migliaia) rappresentano la estrapolazione del numero di eventi avversi nello Stato di New York derivati dai dati del campionamento effettuato dallo studio. In altre parole i ricercatori hanno stimato, partendo dal campione di cartelle estratte nello studio, quanti erano gli eventi avversi nell’intero Stato di New York.
Tra parentesi vengono riportate le percentuali rispetto ai totali di colonna. Le colonne descrivono nell’ordine:
- Il grado di disabilità conseguente all’evento avverso
- Il numero di casi (con la percentuale sul totale che è rappresentato da 98.610 casi)
- Gli eventi avversi dovuti ad errori (con la percentuale sul totale che è rappresentato da 21.177 casi)
- La percentuale dovuta ad errori sul totale degli eventi avversi di quella categoria di disabilità

Il rettangolo rosso a linea continua raggruppa gli eventi avversi stimati nel periodo esaminato (98.610) nello Stato di New York con i numeri e le percentuali del grado di disabilità stimate. La gran parte degli eventi avversi determinano una disabilità minima con pieno recupero funzionale entro 1 mese (circa il 56,8% del totale). Se la conseguenza è più severa la percentuale si riduce (disabilità>50% parti al 2,6% del totale). Nel caso dell’evento morte però la percentuale si impenna nuovamente (13,6% sul totale degli eventi avversi).
Gli eventi avversi dovuti, secondo i ricercatori, a negligenza, venivano stimati in 27.177 su un totale di 98.610 (colonna centrale). Quindi il 27,6% degli eventi avversi sarebbe imputabile ad attività diagnostico-terapeutiche al di sotto di uno standard accettabile.
La terza colonna (rettangolo tratteggiato) evidenzia invece un dato riferito esclusivamente ai 27.177 casi di “negligenza”. Pur essendo la percentuale media di negligenza del 27,6%, all’interno dei diversi gradi di disabilità le percentuali sono molto più elevate nei casi di invalidità permanente e di morte (34% e 51% di tutti i casi “negligenti”)). Il che equivale a dire che, in caso di evento avverso con decesso, vi è una maggior della “negligenza” (in caso di decesso 1 caso su 2 era imputabile a negligenza).
Malgrado i risultati dell’HPMS (tra cui la distribuzione degli eventi avversi per disciplina, per DRG e molti altri dati rinvenibili nell’articolo originale, che si allega come materiale del corso), l’impatto dello studio non si dispiegò pienamente fino alla pubblicazione di “To err is human” avvenuta quasi 9 anni dopo.
Probabilmente uno dei motivi di tale ritardo nella presa di coscienza da parte delle autorità sanitarie e politiche negli USA fu il fatto che in “To err is human” furono comunicati i dati conseguenti ad una estrapolazione riferita all’intero Paese con la famosa stima di decessi tra i 44.000 e i 98.000 ogni anno.
Una importante conseguenza dell’HMPS è che tale lavoro ha stimolato altri Paesi a implementare la stessa metodologia per valutare gli eventi avversi a livello ospedaliero. Gli australiani replicarono lo studio in 28 ospedali nel 199526. In questo studio i ricercatori diressero l’attenzione più verso la prevenibilità dell’evento che non verso una valutazione di un cosiddetto “substandard care” ovvero di negligenza.
Questo diverso orientamento comportò una differente incidenza di eventi avversi. Infatti, se nell’HMPS si evidenziò una incidenza di 3,7 eventi avversi su 100 ricoveri, lo studio australiano riportò 16,6 eventi avversi ogni 100 ricoveri (vedi capitoli successivi).
Studi successivi hanno dimostrato che il differente approccio all’analisi delle cartelle sanitarie ed alcune differenze metodologiche potevano spiegare questa importante differenza[3] e che riconducendo i dati Australiani alla metodologia degli studi USA, il reale tasso di incidenza avrebbe potuto essere di poco superiore al 10%.
Seguendo il solco dell’HMPS altri studi sono stati effettuati
in UK[4], Danimarca[5], Nuova Zelanda[6], Canada[7] ed in molti altri Paesi tra cui,
recentemente, anche in Italia[8].
[1] A. R. Localio et al., “Relation between Malpractice Claims and Adverse Events due to Negligence. Results of the Harvard Medical Practice Study III,” The New England Journal of Medicine 325, no. 4 (July 25, 1991): 245–51, doi:10.1056/NEJM199107253250405.
[2] Don Harper Mills, “Medical Insurance Feasibility Study,” Western Journal of Medicine 128, no. 4 (April 1978): 360–65.
[3] Eric J. Thomas et al., “A Comparison of Iatrogenic Injury Studies in Australia and the USA I: Context, Methods, Casemix, Population, Patient and Hospital Characteristics,” International Journal for Quality in Health Care 12, no. 5 (October 1, 2000): 371–78, doi:10.1093/intqhc/12.5.371.
[4] Charles Vincent, Graham Neale, and Maria Woloshynowych, “Adverse Events in British Hospitals: Preliminary Retrospective Record Review,” BMJ 322, no. 7285 (March 3, 2001): 517–19, doi:10.1136/bmj.322.7285.517.
[5] T. Schiøler et al., “Incidence of adverse events in hospitals. A retrospective study of medical records,” Ugeskrift for Laeger 163, no. 39 (September 24, 2001): 5370–78.
[6] P. Davis et al., “Adverse Events Regional Feasibility Study: Indicative Findings,” The New Zealand Medical Journal 114, no. 1131 (May 11, 2001): 203–5.
[7] G. Ross Baker et al., “The Canadian Adverse Events Study: The Incidence of Adverse Events among Hospital Patients in Canada,” CMAJ : Canadian Medical Association Journal 170, no. 11 (May 25, 2004): 1678–86, doi:10.1503/cmaj.1040498.
[8] Riccardo Tartaglia et al., “Adverse events and preventable consequences: retrospective study in five large Italian hospitals,” Epidemiologia E Prevenzione 36, no. 3–4 (August 2012): 151–61.