Nel 1999, l’Institute of Medicine Americano diffondeva il report To err is Human[1] che ancora adesso viene citato come il più importante contributo alla comprensione e alla presa d’atto della problematica degli eventi avversi conseguenti alle cure sanitarie.
Nel documento venivano elencati i numerosi problemi insiti all’interno del sistema sanitario americano e la stima, derivata da due importanti studi sperimentali, dei decessi provocati da errori sanitari. Tale cifra veniva stimata tra i 44.000 ed i 98.000 ogni anno.
Il report ebbe un impatto immediato dal punto di vista mediatico ed in risposta ad esso il Congresso degli Stati Uniti decise di finanziare progetti mirati sulla sicurezza dei pazienti fin dall’anno successivo, con l’obiettivo di migliorare la ricerca in questo ambito ed individuare metodologie efficaci per ridurre il numero di eventi avversi. Venne individuato nell’AHRQ (American Health Research and Quality) il centro per il miglioramento della qualità della sicurezza del paziente.
Il messaggio chiave di “To err is human” era assai innovativo per l’idea che molti hanno ancora oggi della cosiddetta malasanità: i problemi che davano origine ad errori ed agli eventi avversi risiedevano nel sistema sanitario e non potevano essere liquidati come l’irresponsabile azione di individui incompetenti. La teoria della mela marcia (bad apple theory) che tende ad individuare uno o più colpevoli ed mira a eliminarli dal sistema, non consentiva di ridurre i difetti del sistema sanitario ma semmai a mantenerli invariati se non addirittura ad peggiorarli.
La quantità di eventi avversi conseguenti a trattamenti sanitari riveste una enorme importanza non soltanto per operatori e pazienti ma anche per le ripercussioni economiche che il fenomeno comporta. Le stime economiche che accompagnano le ricerche in questo ambito, che includono non solo i danni ai pazienti ma anche i maggior costi assicurativi e le spese legali nei casi di denuncia per “malpractice”, dovrebbe indurre ad azioni di politica sanitaria mirate alla sicurezza del paziente.
Gli studi da cui venivano estrapolate le stime del report erano stati condotti nel Colorado e nello Utah[2] e nello Stato di New York[3]. L’ultimo di questi è l’Harvard Medical Practice Study pubblicato in tre diversi articoli sul New England Journal of Medicine[4].
Gli eventi avversi in questi due studi avevano evidenziato una percentuale di eventi avversi pari rispettivamente al 2.9 e al 3.7% delle ospedalizzazioni.
Metà di questi eventi avversi erano stati classificati come prevenibili ed una percentuale variabile dal 6 al 13.6% aveva determinato la morte dei pazienti. Con una estrapolazione basata sulle oltre 33 milioni di ospedalizzazioni effettuate nel 1997 nel sistema sanitario americano, ciò implicava la famosa stima che oscillava tra i 44.000 e i 98.000 decessi annuali per errori sanitari.
Utilizzando la stima più bassa, il numero di decessi era tale da collocarsi, all’epoca della pubblicazione, alla 8a causa di morte negli USA, superando quella per incidenti stradali (43.458), tumore della mammella (42.997) e AIDS (16.516).
Nel report “To err is human” non si approfondivano soltanto eventi avversi riguardanti la realtà ospedaliera ma si citavano anche studi osservazionali che erano incentrati su pazienti ambulatoriali che accedevano alle farmacie territoriali. Gli errori dovuti ad errata prescrizione, interpretazione, dispensazione dei farmaci variavano tra lo 0.2 e il 10 percento del totale.
Ciò determinava, ad esempio, che negli Stati Uniti, su tre miliardi di prescrizioni effettuate annualmente, si potevano rilevare 50 milioni di errori. Tali errori, anche se rilevati in un setting apparentemente meno “rischioso” di quello ospedaliero, può determinare ugualmente gravi conseguenze in percentuali variabili come, ad esempio, la situazione in cui il farmaco impiegato comporti effetti collaterali severi o il suo sovra/sottodosaggio l’insorgenza di gravi complicazioni (basti pensare agli anticoagulanti orali).
Studi molto estesi hanno ad esempio verificato che avvengono molte reazioni avverse da farmaci nel periodo successivo alla dimissione dall’ospedale, nelle nursing care (equivalenti alle nostre RSA) e nell’ambito di trattamenti ambulatoriali.
Pertanto il documento dell’Institute of Medicine (IOM) rappresentava uno spaccato impietoso della realtà sanitaria statunitense. Gli errori sanitari erano diffusi, pervadevano ogni tipologia di attività, da quella ospedaliera, a quella residenziale, a quella territoriale e non risparmiava nessuna disciplina, neppure quelle in cui venivano trattati pazienti molto critici, rianimazioni, cardiochirurgie, terapie intensive neonatali (dove ogni errore risulta amplificato dalle già precarie condizioni del paziente).
Sebbene negli studi utilizzati dal report “To err is human” siano stati rilevati tipologie di errore molto diverse, gli eventi avversi più frequenti (e anche più gravi) erano in relazione all’utilizzo dei farmaci (pari al 19 percento di tutti gli eventi avversi).
Il problema della gestione del rischio e dell’individuazione degli eventi avversi e le modalità per correggerli non è solamente un problema di sicurezza del paziente, ma è anche, come già detto, un notevole problema di tipo economico.
E’ importante rammentare che gli errori sanitari non sono semplicemente commissivi ovvero azioni errate che determinano conseguenze negative per il paziente, ma sono spesso anche errori di omissione (ovvero errori che comportano la non attuazione di azioni necessarie). Questi ultimi sono più difficili da individuare ma sono altrettanto pericolosi (esempio la mancata prescrizione/somministrazione di un farmaco necessario).
Molti eventi avversi sono conseguenza di più errori, sia commissivi che omissivi. Se pensiamo ad uno degli eventi avversi più gravi, ovvero l’errore di lato in chirurgia (wrong site surgery), l’errore commissivo appare evidente (es: amputazione dell’arto sbagliato), ma dietro ad esso vi sono altri errori anche di tipo omissivo (ad es: non aver verificato la checklist prevista).
In “To err is human” è presente un elenco (Figura 1) che identifica i tipi di errore più frequenti in ambito sanitario. Essi sono raggruppabili in errori:
- Diagnostici
- Terapeutici
- Preventivi
- Altri tipi di errore (es. problemi tecnologici, di comunicazione)
Un evento avverso però non è generalmente mai dipendente da un solo specifico errore. Invariabilmente sono molti i fattori (e gli errori) che contribuiscono a determinare un danno al paziente. Ricercare la “causa radice” (da cui un metodo di analisi che si chiama per l’appunto root cause analysis) è un esercizio di astrazione che viene effettuato sempre dopo che il fatto è avvenuto e spesso può distorcere la reale evoluzione dei fatti. L’errore individuato come “causa radice” (il più importante, il più determinante, senza il quale l’evento avverso non sarebbe avvenuto) distoglie dalla ricerca di altre cause che portano alla commissione (o alla omissione) di un atto fondamentale.
[1] To Err Is Human: Building a Safer Health System (Washington, D.C.: National Academies Press, 2000), http://www.nap.edu/catalog/9728.
[2] Eric J. Thomas et al., “Incidence and Types of Adverse Events and Negligent Care in Utah and Colorado,” Medical Care, 2000, 261–271.
[3] Troyen A. Brennan et al., “Incidence of Adverse Events and Negligence in Hospitalized Patients: Results of the Harvard Medical Practice Study I,” New England Journal of Medicine 324, no. 6 (1991): 370–376.
[4] Lucian L. Leape et al., “The Nature of Adverse Events in Hospitalized Patients: Results of the Medical Practice Study II,” New England Journal of Medicine 324, no. 6 (1991): 377–384.